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Arte

L'arte di Francesco Mennyey

Francesco Mennyey, nato a Torino il 7 febbraio 1889 e ivi morto il 15 ottobre 1950, è figlio dell’agitato Novecento. Il suo temperamento schivo e il suo vivere appartato, per quella austerità del carattere e la serietà del costume propri dei subalpini, non lo legò a nessuna scuola e lo portò a dipingere per un innato bisogno di manifestare il suo animo poetico. Studiò all’Accademia Albertina e fu insegnante di tecnologia, scienze applicate all’arte e tecniche incisorie nella Scuola Professionale per le Arti Grafiche di Torino. Esordì come pittore nel 1914, ma subito dopo la Prima Guerra Mondiale si dedicò anche all’incisione (specie acquaforte, ma pure acquatinta e puntasecca, rarissime litografie) realizzando oltre 250 soggetti, alcune raccolte e cartelle. Fu espositore, invitato a cinque Biennali veneziane, a varie rassegne romane e a numerose mostre d’incisione italiana all’estero (Atene, Sofia, Tallin, Parigi, Bucarest, Istambul, ecc…). Di Mennyey incisore hanno scritto, fra gli altri, M. Bernardi, E. Zanzi, C. Ratta, L. Servolini, E. Gianotti, A. Rossi, ed è stato edito il volume “Dieci acqueforti di Torino” (Torino, Le Immagini, 1975/76), presentato da M. Bernardi. Operò in Francia, in Olanda, in Belgio, In Turchia, nelle isole dell’Egeo, quale inviato del Governo italiano, in qualità di addetto militare a nostre ambasciate; nei suoi prolungati soggiorni all’estero la tavolozza e i pennelli gli furono fedeli mezzi per ritrarre, con la distaccata obiettività del vedutista, terre e marine dai colori di una luminosità desueta. Ritiratosi a Torino, dove fu insegnante alla scuola Fontanesi, si dedicò all’acquaforte riprendendo le piazze della città sabauda e le architetture di Venezia. Tuttavia, sia nel bianco e nero che nell’olio, Mennyey è stato quasi esclusivamente paesaggista: ben poche le figure, pochissimi i ritratti e rari i fiori e le nature morte. In piccoli schizzi a matita o a carboncino ritraeva dal vero il soggetto, che poi elaborava nella raccolta calma del suo studio. Prima di terminare il quadro ritornava anche più volte sul luogo per coglierne la luce, per fissare definitivamente la tonalità delle tinte. Benché in molti suoi quadri si senta la derivazione post-impressionistica ed i suggerimenti della scuola di Parigi, rimase fedele alla tradizione dei paesisti piemontesi che si riallaccia ad Antonio Fontanesi e più ancora a Lorenzo Delleani. Queste sue immagini ci danno la misura dell’arte di Mennyey, della magnifica espressività dei suoi chiaroscuro, dell’energia del suo disegno e dei suoi paesaggi elegiaci avvolti in un vivo senso di luce che conferisce loro la “tenera chiarezza” segnalata da G.L. Marini nel settimo volume “Grande dizionario enciclopedico dei pittori ed incisori italiani” pubblicato presso Bolaffi. La nobile opera incisoria del Mennyey, le sue splendide acqueforti anche di ampie dimensioni, segnate da autentiche qualità artistiche, ma vendute in quel tempo per poche lire, offrono anche un esempio d’alta moralità di vita.